Negli ultimi giorni stanno facendo molto discutere le scelte della Disney per il live action di Biancaneve, nelle sale cinematografiche del 2024. Già dal titolo originale, solo Snow White, si percepisce l’intenzione di concentrarsi sulla protagonista, rappresentandola come una donna moderna, che non avrà bisogno di un principe per salvarsi (sembra infatti che tale figura non esisterà all’interno del film e che non ci sarà il famoso bacio per risvegliarla) e che sarà aiutata da sette figure, non i classici “sette nani”. Per non dimenticare la scelta dell’attrice protagonista, Rachel Zegler, attrice statunitense di origini colombiane e polacche, che non rispetta la caratteristica fisica più nota di Biancaneve, ovvero la pelle bianca.
Il nuovo live action Disney è di nuovo oggetto di controversia perché proprio in questi giorni sono state diffuse dal Daily Mail alcune foto dal set che confermano che Biancaneve sarà affiancata da sette figure che non saranno interpretate da attori con nanismo, ma da attori di varie etnie, tra cui un’attrice e un solo attore con nanismo.
La decisione della Disney di “cancellare” i sette nani è stata presentata in modo confuso sui media, dove è stata attribuita molta importanza alle dichiarazioni dell’attore statunitense Peter Dinklage, affetto da acondroplasia, che era sempre stato molto critico nei confronti della rappresentazione dei sette nani nel film d’animazione originario e che aveva espresso le sue forti perplessità nei confronti del nuovo progetto nel gennaio 2022. Dinklage aveva definito la storia “retrograda” e denunciato la rappresentazione stereotipata dei sette nani. All’epoca la Disney non aveva ancora annunciato le sue intenzioni riguardo a queste figure, ma già dal dicembre 2021 aveva assunto dei consulenti, come la professoressa Erin Pritchard della Liverpool Hope University, anche lei acondroplasica, al fine di evitare di presentare stereotipi legati al nanismo nel nuovo film. La Disney ha quindi risposto alle dichiarazioni di Dinklage, parlando di un nuovo approccio nei confronti di questi personaggi, che avranno quindi un aspetto drasticamente diverso rispetto al film d’animazione del 1937.
Ma sono davvero uno stereotipo i sette nani? Sì, lo sono. E certamente sono personaggi positivi, simpatici e coraggiosi, ma ciò non toglie che anche in personaggi positivi possano annidarsi stereotipi. La funzione dei sette personaggi nella storia originale è alleggerire il tono del film. Sono infatti personaggi comici, uomini adulti che non sono del tutto capaci di avere cura di sé stessi e che hanno bisogno della figura materna di Biancaneve. Sono sette personaggi caricaturali, ciascuno definito da una singola caratteristica. L’unico nano che presenta un grado maggiore di profondità è Brontolo, ostile a Biancaneve in principio, ma anche il primo che accorre per tentare di salvarla. Nella vita reale le persone affette da nanismo sono spesso associate a causa della loro altezza ai bambini e hanno combattuto per essere rispettate e trattate come chiunque altro. Tuttavia, anche tra le persone affette da nanismo i sette nani sono una figura dibattuta: per alcuni il film della Disney è stato dannoso anche per aver ispirato generazioni di bulli, per altri sono personaggi eroici, che non sono tra l’altro persone con nanismo, ma un’evoluzione dei leggendari spiriti dei boschi e pertanto non discriminatori nei confronti delle persone reali affette da forme di nanismo.
Proprio per contrastare gli stereotipi la Disney è stata costretta in passato ad assumere decisioni considerate politicamente corrette, come quella di inserire un disclaimer su Disney+ sulla presenza di stereotipi razzisti all’interno di alcuni dei suoi più famosi film d’animazione.
Tra i film introdotti da questo disclaimer vi è Dumbo (1941), che presenta due stereotipi sulle persone di colore. Nella canzone dei lavoratori neri, senza volto, che allestiscono il circo di notte viene descritta la loro condizione di lavoratori felici di essere sfruttati e i loro tratti fisici assumono connotati animaleschi (“We slave until we’re almost dead / We’re happy-hearted roustabouts” e “Keep on working / Stop that shirking / Pull that rope, you hairy ape”). Ancora in Dumbo i corvi sono stati interpretati dalla critica come caricature di afroamericani anche per via del legame tra il corvo a capo del gruppo, Jim Crow, e le leggi di segregazione razziale diffuse nel sud degli Stati Uniti, note come Jim Crow Laws.
In Lilli e il vagabondo (1955) i gatti siamesi Si e Am incolpano Lilli delle loro malefatte: hanno denti grossi, occhi a mandorla, entrano in scena dopo un gong e rappresentano perciò caratteristiche ricondubili ai paesi dell’Asia orientale. La stessa razza non è certamente casuale. Nel live action del 2019 i due gatti non sono più siamesi, ma appartengono alla razza Devon Rex e l’intera sequenza è stata modificata, anche se i danni vengono attribuiti a Lilli anche nella nuova versione.
Un altro gatto siamese è presente nel classico del 1970 Gli Aristogatti. Sebbene si tratti di un personaggio positivo, il gatto Shun Gon suona il pianoforte con le bacchette e si esprime con un accento stereotipato. Sono reiterati anche in questo caso i tradizionali stereotipi culturali sull’Asia orientale.
Sono inoltre numerosi gli stereotipi di genere: dal bacio, considerato oggi controverso perché senza consenso, che risveglia Biancaneve e Aurora ne La bella addormentata nel bosco (1959), ad Ariel che ne La sirenetta (1989) baratta la sua voce per le gambe per far innamorare il principe Eric (che conosce a malapena). Su questi tre casi la Disney sembra voler intervenire o è già intervenuta, trasformando il bacio del vero amore in un bacio materno in Maleficent oppure esaltando la voglia di Ariel di conoscere il mondo degli uomini nel live action omonimo del 2023.
Esistono stereotipi che invece sembrano più difficili da sradicare anche nei live action: sia nel film d’animazione del 1991 La bella e la bestia sia nel live action del 2017 Belle deve insegnare alla Bestia a essere di nuovo gentile e finisce per innamorarsi di lui, nonostante lui l’abbia anche maltrattata. Letture critiche della fiaba associano Belle a una vittima della sindrome di Stoccolma, uno stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica. In generale, lo stereotipo più facilmente riscontrabile è quello della donna crocerossina, che può cambiare l’uomo in meglio.
La lunga storia dei film d’animazione della Disney è già in sé la ragione principale per spiegare l’elevata presenza di stereotipi: è scontato che raccontare Biancaneve a quasi 90 anni di distanza dal classico d’animazione si riveli un’impresa molto complicata se l’intenzione è quella di rivolgersi alle nuove generazioni. Ma la Disney non vede solo una morale superiore nelle scelte più politicamente corrette e inclusive intraprese in questi anni, visto che è perfettamente consapevole che decisioni di marketing come quella di cambiare etnia a un personaggio, solitamente dalla pelle bianca nel film originale, spaccano il pubblico e generano dibattito ancora prima dell’uscita in sala, attirando l’attenzione sul prodotto.
La tendenza a riproporre storie vecchie sembra però cominciare a stufare il pubblico. Una prova è data dai numeri non proprio esaltanti del live action de La Sirenetta, che ha incassato circa 560 milioni di dollari in tutto il mondo. Sono numeri inferiori ad altri blockbuster e probabilmente inferiori alle aspettative, che confermerebbero il desiderio da parte del pubblico di fruire di storie nuove, ma finché la Disney crederà che i live action costituiscano un guadagno sicuro, le polemiche di questi giorni non saranno certo le ultime.