Lightyear – La vera storia di Buzz è lo spin-off della fortunata saga di Toy Story. Il 26° lungometraggio di casa Pixar è così basato su Buzz Lightyear, e, malgrado manchi di originalità, riesce a trarne il meglio.
Nell’anno 3901 lo Space Ranger Lightyear. la sua ufficiale in comando e amica Alisha Hawthorne, e la giovane recluta Featheringhamstan sono atterrati sul pianeta Tikana Prime per capire se sia effettivamente abitabile. Sulla nave, oltre a loro tre, è ospitato in sonno ipergalattico il resto dell’equipaggio. La missione, cominciata nel migliore dei modi, si rivela a poco a poco un disastro: il pianeta è abitato da forme di vita ostili che costringono i tre ad una veloce ritirata sulla nave. Nel tentativo di abbandonare il pianeta, Buzz compie una manovra errata danneggiando la nave e costringendo lui e tutto l’equipaggio a cominciare una nuova vita sull’ostile pianeta.
Passato un anno dagli eventi, l’equipaggio ha costruito una colonia sul pianeta e sta testando dei cristalli che permettano viaggi a velocità luce per poter abbandonare il Pianeta. Così Buzz si offre volontario per testare la stabilità del cristallo ma ad ogni test (tutti con esito fallimentare) il ranger rientra alla base dopo quattro anni. Questo a causa della dilatazione temporale causata dall’aver viaggiato a simili velocità. In pochi minuti di viaggio, Lightyear vede l’inesorabile scorrere del tempo sulla sua amica Alisha che, parallelamente alla carriera, si costruisce una vita serena con una famiglia, finché, al ritorno della sua ultima missione la sua amica non c’è più e al suo posto c’è il comandante Burnside che informa lo Space Ranger della cancellazione della missione che l’ha visto impegnato per quelli che dovrebbero essere sicuramente più di sessant’anni.
Buzz però non vuole arrendersi e contravvenendo agli ordini ritenta la missione, che si risolve in un successo che lo porta ad aver fatto un ulteriore balzo in avanti di altri ventidue anni. Durante la sua assenza però sono molte le cose ad essere cambiate e ad illustrargliele sarà la nipote della sua amica Alisha: Izzy Hawthorne. Da qualche tempo, su Tikana Prime è comparso un esercito di robot che proviene da un’enorme astronave che aleggia nei cieli del pianeta. Spetterà ora allo Space Ranger e alla bizzarra squadra di Izzy, mettere fine alla minaccia dei robot e riuscire, così ad abbandonare definitivamente il pianeta.
Lightyear – La vera storia di Buzz è l’ultima fatica dei Pixar Animation Studios che, dopo tre lungometraggi usciti direttamente su Disney+ (solo per motivi ipocritamente spiegabili), ha fatto la sua comparsa prima al cinema e successivamente sulla piattaforma di streaming. Il film diretto da Angus MacLane, anche se non si può certo dire sia un film totalmente entusiasmante, è sicuramente un lavoro riuscito perché riesce a costruire, partendo da elementi non sempre originali, una storia coerente, coinvolgente e che intrattiene fin dall’inizio.
Dall’introduzione sappiamo che il film che stiamo vedendo lo ha visto un ragazzino a metà anni Novanta, ma certe tematiche risultano anacronistiche per i nostri tempi. Difficile pensare che un film di questo genere potesse essere avveniristico. Sicuramente questo aspetto denota una scarsa attenzione in fase di scrittura.
Il lungometraggio richiama molti elementi narrativi della più classica fantascienza vista in altri film – pensiamo ad Interstellar di Christopher Nolan o, visto il pubblico cui è principalmente rivolto, a Lost in Space – Perduti nello spazio del 1998 – e a livello visivo è una citazione costante alla saga di Star Wars. Tutto ciò che mostra è esposto in maniera corretta, chiara e semplice con una regia ed un montaggio che si concentrano soprattutto sui personaggi. Non c’è invece grande spazio per i comunque ricchi scenari.
Lightyear – La vera storia di Buzz è veramente godibile e la Pixar continua le sue variazioni sul tema che non stancano mai. Non in tutte le sue storie ha raggiunto livelli eccezionali ma non è mai incorsa in prodotti deludenti ed è il caso di questo lavoro, dove con la solita attenzione alla CGI, possiamo vedere un film di genere, ricco di particolari, con personaggi caratterizzati quel tanto basta (vale anche per il protagonista) per poter comunque riuscire ad empatizzare il pubblico rapidamente. Chi si differenzia dal resto dei personaggi, e che detta i tempi comici, è il gatto droide Sox (Peter Sohn/Luca Tersigni i grandi interpreti).
La colonna sonora, composta da Michael Giacchino, che pur non brillando per memorabilità – come invece accaduto per altre colonne sonore da lui composte come quella di UP – riesce comunque ad essere appropriata al tipo di immagini.
In conclusione. Lightyear – La vera storia di Buzz è un film che sa intrattenere lungo i suoi centoquattro minuti, con una storia che ben si rapporta al minutaggio ma non sempre foriera di emozioni significative. La caratterizzazione di Buzz Lightyear andava probabilmente esposta meglio ma questi elementi non minano la sostanziale buona riuscita dell’intero film, la cui prima scena dopo i titoli di coda, apre alla possibilità di almeno un sequel.